28 febbraio 2011

LOVE DESTROY

A volte penso troppo. Quando il mio corpo vaga solo al quinto piano e le stanze mi sembrano talmente vuote da poterci pattinare ad alta velocità, la parte più odiosa della mia psiche lavora freneticamente partorendo mostri alati e la solitudine mi copre col suo pietoso manto degno di decadenti poesie fine ottocento. Tutto assassino in momenti simili. Non posso mangiare quando certe dimensioni s’impadroniscono della mia debole mente invadendo protezioni sottili come carta velina. Il solo rumore di un cracker masticato con cautela può innervosirmi, e se proprio la fame piange devo alzare notevolmente il volume del Sony e sedermi vicino alle casse per poter deglutire senza terrore commestibilità vitali. Frantumare vetrate con la testa. Procurarmi lesioni semi-letali. Urlare al megafono Voglio delle Dr. Martens senza para. Sventolare una bandiera svizzera dalla lunga asta appuntita e lanciarla con forza trafiggendo qualche ignaro passante. Se pensi troppo finisci per sentirti il più bastardo dei bastardi, e nessun carnevale può divertirti e se solo depresso, concludi così, sei solo depresso e adesso aspri la porta, aspetti per qualche secondo l’ascensore e scaraventi le tue gambe per strada, che qualcosa di geniale succederà. E allora la porta la apro e quasi dimentico il cappotto dalla frenesia di sentire strada stronza sotto le mie scarpe. Cammino aspettando che qualcosa di geniale mi riporti in vita e lo faccio con destrezza, calibrando ogni passo, dilatandolo al massimo, e guardo tutto quello che ho attorno con nuovo interesse, mi soffermo sulle insegne, raccolgo giornali abbandonati, saluto persone mai viste, entro in qualsiasi posto aperto ordinando birra che a volte bevo a volte regalo al vicino di braccio. E’ come non esserci, cattiva proiezione di cui non ricordi la data, e devo toccarmi continuamente per accertarmi che ci sono, che è tutto presente quello che vedo. Stato confusionale, forse. Difficile decifrare stati d’animo del genere se non se ne ha voglia. Tutta colpa della voglia e delle sue molteplici forme. Voglia di sesso, di gelato al limone, di morire, di studiare latino, di telefonare, di ascoltare bollettini nautici, di lavarsi i denti, di vomitare, di baciare e ancora, ancora, ho ancora voglia. Guardo finestre accese e ne immagino l’atmosfera all’interno, al di là del vetro, cerco di capire che cazzo mai sta succedendo lì dentro, se chi ci abita è talmente felice da divertirsi incredibilmente guardando un qualsiasi idiota telefilm americano, o è così triste e incazzato da non rendersi conto che sua moglie stesa davanti a lui è di un bello inverosimile. Intanto cammino captando umori e conversazioni che mi flashano a millimetri e continuo a pensare che veramente se solo volessi qualcosa di geniale potrebbe travolgermi con violenza in qualsiasi istante.(Isabella Santacroce)

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