2 aprile 2011


C’è un’odissea sconosciuta che la bellezza è costretta a percorrere nel nostro corpo dopo l’annuncio degli occhi. Dura pochi istanti, forse meno: è tortuosa, complicata, eppure impalpabile.
Noi vediamo il bello e la retina, subito, urla un allarme, chiamando in causa l’istinto e ordinando poi alla pupilla di fissarlo senza distrarsi. Il nostro sguardo si incanta, ghermisce le forme, immagina; improvvisamente comincia a spedire al cuore, attraverso la gola, quella sostanza aerea di cui sono fatti i sogni e che crea languore. La centrale cardiaca, per non compromettere i battiti, getta ovunque le sensazioni ricevute: ai muscoli, nelle vene, nelle nostre zone segrete.
La bellezza però non sta ferma. Ripercorre allora una strada inversa, portando con sé masse di emozioni, cariche di intensità e stupore. Raggiunge di nuovo il cervello, costringendo l’occhio a non smarrire quanto è riuscito a catturare un secondo fa.
La bellezza è fisica, totalmente affidata alla carne, ma ha bisogno di strade segrete che corrono sotto la nostra pelle per farsi riconoscere.
I filosofi hanno raccomandato per secoli di cercarla nello spirito. Indipendentemente dall’epoca, ne abbiamo bisogno come dell’aria e dell’acqua. Forse perché nel nostro intimo siamo convinti dell’eterna verità racchiusa nella frase di Dostoevskij: “La bellezza salverà il mondo”.

La bellezza abbraccia tutti i sentimenti e li rende puri. La natura ha voluto concedere alla bellezza tutte le licenze, le ha aperto i cieli, ha fatto innamorare di lei la fantasia.
A.T.

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